Apuleio, Andersen, Poe. Storie di curiositas senza fine

By curiosity, I mean whatever desire we have for, or whatever pleasure we take in, novelty. We see children perpetually running from place to place to hunt out something new; they catch with great eagerness, and with very little choice, at whatever comes before them; their attention is engaged by everything, because everything has, in that stage of life, the charm of novelty to recommend it. 

E. Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful

Ci scopriamo curiosi quando ci scopriamo incompleti. Spesso non sappiamo neppure cosa sia che manca, eppure ci incamminiamo lungo un sentiero sconosciuto, accettando qualunque sfida, qualunque privazione, pur di appagare la nostra curiositas. L’ignoto atterrisce e attrae. È in quella direzione che ci avviamo, finché non scopriamo ciò che desideriamo conoscere. In quel preciso momento, però, ci rendiamo conto che il sentiero non è terminato: c’è ancora qualcosa da cercare, qualcosa da conoscere; i più ostinati si rimettono in cammino. Apuleio, Andersen e Poe, autori separati da secoli e oceani, donano al lettore esempi indimenticabili di una curiositas mai paga: quella di Psiche, a tratti leziosa, a tratti profonda; quella della sirenetta, teneramente caparbia; quella di Arthur Gordon Pym, ossessiva e visionaria. La loro, la nostra, è un’insopprimibile propensione alla ricerca dell’inattingibile. Potreste perfino riconoscervi nei desideri e nelle scelte di questi personaggi; se siete curiosi di conoscerli meglio, non dovete far altro che seguire il sentiero di parole che si snoda dinanzi a voi.

CUPIDO E PSICHE: L’AMORE COME CURIOSITÀ INSAZIABILE

Psiche che entra nel giardino di Cupido,
J. W. Waterhouse (1903).

Apuleio, il grande affabulatore. Appassionato viaggiatore, spirito eclettico, questo autore del II secolo d.C. doveva sapere molto bene cosa si provi a nutrire un interesse per le molteplici manifestazioni della vita. Gli undici libri del suo romanzo, Le Metamorfosi, sono un piacevolissimo labirinto in cui potersi smarrire: “non sono solo un lungo racconto, ma un’occasione continua per produrre altri racconti”, come dice Bettini ne Il ritratto dell’amante. In questo brusio di voci che germogliano a partire da un nucleo centrale (e che forse vi ricorderà La storia infinita di Ende), e in cui la curiositas è il motivo propulsore dell’azione, ne cogliamo una in particolare: la favola di Cupido e Psiche (potete leggerla qui).

La rara bellezza di Psiche è il primo mondo inesplorato dinanzi a cui è posto il lettore. Nutrite folle affrontano lunghi viaggi solo per ammirarla. Si inizia perfino a venerarne la bellezza, trascurando i santuari di Venere. Ecco che la curiosità si tramuta in un atto tracotante, che induce la divinità dell’amore a meditare vendetta ai danni di Psiche, la cui avvenenza viene ritenuta arrogante (pulchritudo contumax, IV 31) e per questo degna di essere punita. Una bellezza che dunque sembra diventare prigione senza sbocco per la fanciulla. Cupido, però, se ne invaghisce, la sottrae alla morte e le concede il suo amore a condizione che non ceda mai alla tentazione di conoscere le sue fattezze. Il buio che è complice dei loro incontri diviene allora figura dell’ignoto. Ma Psiche ha a sua volta un’indole curiosa, tanto più che si trova confinata nel palazzo in cui attende ogni notte il suo sposo, un luogo incantevole, ma che la isola dal mondo dei vivi: un’ulteriore prigione di bellezza in cui la fanciulla stenta a restare confinata. È sufficiente la curiosità insistente di una delle sue sorelle sul conto dello sposo di Psiche a sollecitare in lei il desiderio irreprimibile di conoscerlo realmente. La giovane viola dunque l’oscurità con la luce soffusa di una candela, che le rivela l’identità dell’amante. E non si limita a far questo: lascia che i suoi occhi indugino sui lineamenti di lui.

[…] Contemplando senza mai saziarsi la bellezza del volto divino, si sentiva riavere. Ella mira il biondo capo e l’abbondanza dei capelli umidi d’ambrosia; sul collo bianco come il latte e sulle guance rosate ella vede le ciocche dei capelli distribuirsi ed allacciarsi graziosamente […]. Ai piedi del letto erano stesi l’arco, la faretra e le frecce, armi propiziatrici del possente dio. Psiche, curiosa com’è, non è mai sazia di esaminare e di maneggiare questi oggetti.

Apuleio, Le Metamorfosi, V 22-23

Ma, per errore, Psiche si punge con una freccia di Cupido. È in questo momento che si innamora profondamente di lui, proprio a causa della sua sacrilega curiositas (V 6). Ora che conosce il suo amante, questi le sfugge: Cupido vola via, offeso. Psiche, allora, si avventura in una ansiosa ricerca dell’oggetto del proprio desiderio. Lo cerca senza sosta, di terra in terra, come da tutte le terre aveva visto giungere folle desiderose di ammirarla. Cederà alla curiosità più frivola soltanto un’ultima volta, schiudendo il cofanetto consegnatole da Proserpina, che la farà sprofondare in un sonno da cui la ridesterà lo stesso Cupido, per cui i due finalmente si ritroveranno. Eppure, a guidarla nei luoghi più remoti, fino all’Ade, era stata una curiositas che da vacuo interesse è capace di inabissare chi la prova nel sentimento di un amore profondo, fino a trasformarsi in ricerca insaziabile.

La sirenetta: il mondo oltre il mare

La sirena, J. W. Waterhouse (1900).

Ulisse disdegna qualsiasi pericolo pur di scoprire il canto fascinoso delle sirene. E se una sirena nutrisse un pari desiderio di conoscere la terraferma e i suoi abitanti?

Lontano, in alto mare, l’acqua è azzurra come petali di bellissimi fiordalisi e trasparente come cristallo purissimo, ma è molto profonda, così profonda che un’ancora non potrebbe mai toccarne il fondo, e bisognerebbe mettere uno sopra l’altro molti campanili prima di arrivare alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare.

H. C. Andersen, La sirenetta

Lontano, alto, profondo. In queste acque prende avvio la storia della sirenetta, che Hans Christian Andersen pubblicò per la prima volta nel 1837 nella sua raccolta di fiabe. La sirenetta, con le sue sorelle, prova profondo interesse per il “mondo sopra il mare”, pur provenendo da un luogo che si direbbe sconfinato, che potrebbe, di per sé, soddisfare la sua curiosità:

Non c’era per lei felicità più grande che sentir parlare del mondo sopra il mare, dove vivevano gli uomini. […] – Quando avrete compiuto il quindicesimo anno di età, – aveva detto la nonna, – vi darò il permesso di affacciarvi alla superficie del mare, di sedervi sugli scogli nel chiaro di luna e guardare le navi che passano. […] Ma ognuna di loro aveva promesso alle altre di raccontare quello che aveva veduto […] poiché non era mai abbastanza quello che raccontava la nonna e c’erano ancora tante cose che desideravano sapere.

Tutti conoscono questa storia, ma non tutti sanno quanto sia intrisa del desiderio verso un mondo altro, ignoto eppure affascinante. La sirenetta, più di tutte le sorelle, rivela una particolare propensione verso il mondo popolato dagli uomini. Prova perfino nostalgia per tutto ciò che non ha mai veduto: le luci della città, colline, alberi d’aranci. Non appena ha il permesso di osservare tutto questo a fior d’acqua, la sua curiositas trova consistenza nell’amore per il giovane principe che salva da un naufragio, e nel desiderio di ricevere un’anima immortale.

Ogni giorno di più cresceva il suo amore per gli uomini, sempre di più desiderava salire e passare il tempo con loro; il loro mondo sembrava molto più grande del suo; essi infatti potevano navigare sul mare, e arrampicarsi sulle montagne più alte delle nuvole, e i loro campi si stendevano con prati e boschi lontano lontano, fin dove l’occhio arrivava.

Attratta da questa immensità, la piccola sirena osa molte volte approssimarsi quanto più può alla terraferma, più di ogni altro abitante del mare. Trova angusta, come la Psiche di Apuleio, la bellezza del palazzo in cui abita. Così, si avventura oltre gli abissi del Maelström, per rivolgersi alla strega che tanto teme, perché la aiuti a conquistare ciò che più desidera – l’amore del principe e un’anima immortale – accettando di porre a rischio la propria vita: se il principe si innamorerà di lei, le donerà un’anima immortale; se invece sposerà un’altra donna, la sirenetta morirà il mattino seguente. Pur consapevole di ciò, la sirenetta abbandona la casa, gli affetti e le proprie sembianze di sirena, sacrifica la propria voce, per raggiungere la terraferma. I suoi sentimenti oscillano tra un lacerante senso di nostalgia per il mondo da cui proviene e il desiderio di trascorrere il tempo insieme al principe e di scoprire le meraviglie della terraferma. Presto però il principe incontra la donna che crede gli abbia salvato la vita, e decide di sposarla. Le sorelle della sirenetta le offrono un ultima, disperata, possibilità di salvezza, sacrificando i propri capelli e consegnandole un coltello, per compiere un sortilegio. Se ucciderà il principe, potrà ottenere nuovamente la sua coda. Ma la sirenetta non potrebbe mai annullare tutto ciò che le ha infuso il coraggio di abbandonare ogni cosa, e di intraprendere una ricerca che, seppur incompiuta, la anima profondamente. Al primo raggio di sole si tuffa in mare, dissolvendosi. Ecco che si attua un’ultima metamorfosi: la piccola sirena si unisce ora alle creature aeree che vagano nei paesi più remoti. La sua ricerca non è dunque conclusa: forse, al termine del suo vagare, otterrà l’immortalità dell’anima.

Arthur GORGON PYM: il naufragio nell’ignoto

Il mare di ghiaccio, C. D. Friedrich (1823-1824).

Nello stesso anno in cui Andersen pubblica la sua raccolta di fiabe, Le avventure di Gordon Pym di Poe iniziano a comparire a puntate sul Southern Literary Magazine. Quella di Arthur Gordon Pym è ancora una storia di mare, ancora una storia di un giovane mai sazio di vita. Da figlio di un commerciante di articoli marittimi a Nantucket, il ragazzo sceglie di affrontare l’”aperto mare”, non pago della riva. Proprio come era accaduto a Psiche e alla sirenetta con le loro sorelle, sono le parole di qualcun altro, in questo caso i racconti del suo amico Augustus, a infiammare il protagonista dell’entusiastico desiderio di scoprire terre remote e popolazioni sconosciute:

Ancora adesso non riesco a capire che cosa passò in me allora, ma le parole non gli erano uscite di bocca che io mi sentii corso da un brivido di entusiasmo e ritenni la sua folle proposta una delle cose più intelligenti e ragionevoli che si potessero fare. Fuori imperversava quasi una burrasca, e faceva tremendamente freddo […]. Tuttavia balzai dal letto in una specie di estasi, e gli dichiarai che non mi sentivo affatto meno coraggioso di lui […].

E. A. Poe, Le avventure di Gordon Pym, Cap. I

È, la sua, una forma di ebbra curiositas che lo condurrà a sperimentare circostanze di autentico terrore, ma che vale a mettere in moto l’azione: Arthur pianifica la partenza tenendone all’oscuro la famiglia, salpa come clandestino a bordo della baleniera Grampus, e consegna al lettore il resoconto di esperienze che oltrepassano quanto di più orrido la sua immaginazione potesse vagheggiare. Fantasie orrorose di morte per sete, fame, asfissia attanagliano la mente di Arthur, finché egli non giunge davvero prossimo a questa condizione, in modi che sfuggono a qualsiasi razionalizzazione – il protagonista stesso confessa di non sperare di essere creduto nel racconto delle esperienze “così fuori dei limiti dell’ umana credibilità”. Sembra quasi che a bordo di quella nave Arthur allenti i legami con la solidità della terraferma, per sperimentare l’infinita mutevolezza del mare. Dopo l’ammutinamento dell’equipaggio e l’esaurimento dei viveri a bordo, che obbliga i sopravvissuti a raccapriccianti compromessi, Arthur viene soccorso dalla Jane Guy, una nave diretta verso i mari del sud con fini esplorativi. Ecco che i suoi entusiasmi si rinfocolano nuovamente: Arthur, animato dall’ardore per la scoperta scientifica, si lascia immediatamente coinvolgere dallo spirito puramente conoscitivo della spedizione. Partecipa all’impresa di stabilire l’esatta ubicazione delle isole Auroras, caldeggia l’esplorazione dell’Antartico, fino a riservare una minuta curiosità ai frutti che crescono sul cespuglio di un’isola sconosciuta; da quel luogo dovrà fuggire nel modo più vertiginoso, scendendo lungo la parete di un precipizio:

Adesso ardevo dalla voglia di guardare in basso. Non potevo, non volevo più limitarmi a fissare la parete e con una violenta, indefinibile emozione, di orrore e al tempo stesso di sollievo, volsi gli occhi verso il fondo dell’abisso. […] Il momento dopo l’anima intera fu invasa dal desiderio di cadere, un desiderio, uno spasimo, una passione ormai incontrollabili.

E. A. Poe,  Le avventure di Gordon Pym, Cap. XXIV

Ma Arthur non è ancora pago. Con la promessa di notevoli scoperte dinanzi a sé, si spinge sempre più a sud, navigando in acque ampie e desolate. E l’epilogo del romanzo lascia ancora affamati di questa storia:

Ma noi già precipitavamo nell’amplesso della cataratta, dove si spalancò un abisso, pronto a riceverci. Ed ecco sorgere sulla nostra rotta un’ammantata figura umana, di proporzioni ben più vaste di qualunque abitante della terra. E la pelle di questa figura aveva il colore delle nevi immacolate.

E. A. Poe,  Le avventure di Gordon Pym, Cap. XXV

L’indole positivista di Jule Verne non poteva farsene una ragione, tanto che agli interrogativi recisi con cui si conclude la vicenda tentò di offrire risposte con La Sfinge dei ghiacci (1897). Ma in questo modo si dissipa il senso di infinito torbido e grottesco sapientemente evocato dallo scrittore americano. Poe mozza il fiato al lettore, con un naufragio solo accennato, quello nell’ignoto, nel sublime. Il suo è un voluto non-finito, proprio come senza fine è il sentiero della curiositas. Ma resta l’unico da percorrere, forse, nel tentativo di sentirsi meno incompleti. E allora, proseguiamo?