L’UNIVERSO È INFINITO?-Seconda parte

“Quando uno scarafaggio cieco si trascina sulla superficie di un ramo piegato, in realtà non si rende conto che il tracciato che percorre è una curva. Ho avuto la fortuna di capire ciò che lo scarafaggio ignorava”.

Risposta di A. Einstein al figlio Eduard, che gli domandò perché fosse diventato così famoso.

Siamo finalmente giunti ai nostri giorni; gli studiosi sono ancora alla ricerca di una risposta risolutiva: l’universo è realmente infinito?

Rifacendoci alla teoria della gravità di Einstein, in cui il tempo e lo spazio subiscono delle Risultati immagini per universo staticodeformazioni per via del moto e della distribuzione della massa e dell’energia, possiamo dedurre che gli spazi con una densità di materia assai elevata, tenderanno a “torcersi” su se stessi (e dunque a possedere un volume finito), a differenza di quelli che avranno una densità più esigua (si tratta di spazi “più vuoti”) potranno più facilmente estendersi in maniera illimitata. Per giunta, per spazi ad alta densità, limitati, anche l’estensione temporale potrebbe essere limitata: è questo il caso in cui l’espansione dell’universo subirà prima o poi una battuta d’arresto, contraendosi sempre più sino a giungere al Big Crunch. universi illimitati, a bassa densità, potranno continuare ad espandersi per sempre.

Il confine che, se oltrepassato, porterebbe ad una densità critica (che, a sua volta, condurrebbe al Big Crunch), è di soltanto sei atomi per metro cubo di spazio. Queste quantità sono assai esigue per i canoni terrestri, mentre non possiamo di fatto essere certi della distribuzione di materia nell’universo: anche se gli strumenti a nostra disposizione ci consentono di rilevare un singolo atomo per sette metri cubi, questi atomi potrebbero costituire una piccolissima parte “luminosa” (in vero emette radiazioni) di una più consistente quantità di materia, fredda e oscura. Non possiamo perciò concludere che l’universo sia infinito, perché potremmo essere nelle condizioni di osservare soltanto la punta dell’iceberg. In realtà, c’è modo di aggirare il problema: anche se non emette luce, qualunque corpo dotato di massa dovrebbe avere effetti gravitazionali sull’altra materia, vi interagisce. E ciò che è a dir poco sorprendente, è che la materia si muove come se interagisse con una quantità di materia dieci volte maggiore di quella che noi possiamo rilevare. Questa imponente quantità è detta “materia oscura fredda“.

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La cosiddetta “energia oscura” è considerata responsabile dell’accelerazione dell’espansione dell’universo negli ultimi miliardi di anni. Questa infatti, anziché produrre un’attrazione gravitazionale, genera una repulsione gravitazionale.

Delle particelle costituenti della materia oscura fredda, soltanto una piccola porzione è costituita da materia ordinaria, che noi conosciamo. Ma che cos’è dunque la materia oscura? Determinare la quantità e la costituzione di questo tipo di materia è una delle sfide della cosmologia moderna.

Tra i papabili costituenti della materia oscura si considerarono in un primo momento i neutrini, tuttavia, per via della massa quasi nulla e anche a causa del fatto che essi viaggiano a velocità troppo elevate, non si prestano a costituenti di questo tipo particolare di materia.

E se la materia oscura fosse composta di piccoli buchi neri? L’ipotesi sembra essere poco consistente, per quanto non sia stata del tutto scartata.

È probabile invece che in natura esistano dei neutrini con massa maggiore, o quantomeno si è avanzata anche questa ipotesi. Del resto, studiando con appositi computer simulazioni riguardo questo tipo di neutrini, ci si è resi conto che la congettura sia alquanto incoraggiante, e ad ogni modo frutto del lavoro di cosmologi, astronomi, astrofisici computazionali, fisici delle particelle e sperimentali: la ricerca è sempre un  fruttuosissimo lavoro di squadra.

Secondo le osservazioni di qualche anno fa la densità critica non poteva essere turbata neppure dalla materia oscura: apparentemente l’universo non poteva essere finito. Ma è necessariamente così?

Facciamo un passo indietro e torniamo per un attimo ad Einstein, il quale aveva intuito che lo spazio potesse essere curvo; così facendo, possiamo ammettere che lo spazio possa essere finito senza tuttavia avere un margine. Ad esempio, potremmo camminare su una sfera all’infinito senza mai incontrare un punto di riferimento, anche se la sfera è finita. La soluzione di un universofinito, ma ripiegato su se stesso, costituisce una validissima alternativa ad un universo infinito: se l’universo è privo di margine non è detto che sia necessariamente infinito.

In ogni caso, vi sono almeno tre argomenti che potrebbero indurre a confutare l’infinitudine dell’universo.   Vi è il problema della topografia, che ci porta a dover ammettere che un universo possa essere illimitato, ma al contempo finito: l’universo potrebbe continuare ad espandersi pur non essendo infinito. Un’altra complicazione è fornita dal problema dell’uniformità: non sappiamo se l’universo a noi conosciuto sia una “riproduzione in piccolo” dell’intero universo, o se le cose cambino sensibilmente di regione in regione. In ultimo, vi è anche l’ostacolo posto dal problema dell’accelerazione: sembra esservi un’anomala espansione dell’universo, fuori dalla norma perché accelerata (questo fatto va contro le previsioni).   

Insomma, potrebbe accadere che l’universo continuerà ad espandersi in eterno, che acceleri sempre più, oppure che un giorno riprenda la sua naturale decelerazione. In questo modo, l’universo sarebbe temporalmente infinito, salvo imprevisti. Non è detto però che, essendo temporalmente infinito, l’universo sia infinito anche da un punto di vista spaziale.

Se l’infinitudine fosse una realtà dell’universo, sarebbe anche un segreto, ben custodito dalla finitudine dei nostri mezzi…

L’UNIVERSO È INFINITO?-Prima parte

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Bisogna ammettere che ciascuno di noi, nel tentativo di immaginare l’universo, anche, perché no?, ad occhi chiusi, sia indotto a figurare davanti a sé interminabili distese, qualcosa che va oltre, sempre più oltre…

Ma l’universo è veramente infinito o in realtà sono le nostre menti ad essere inadeguate ad una conoscenza totale di un universo in realtà finito?

Questi interrogativi sono tra i primi ad aver indotto l’uomo alla riflessione sull’infinito in genere. Si può dire che, anche se più in piccolo, ci si posero simili domande anche circa la terra: essa è in effetti finita, e di forma sferica (e non piatta, come si pensava).

Solitamente, nell’antichità, nella più parte delle culture, si tendeva ad assegnare all’uomo un posto privilegiato all’interno del Cosmo: in questo modo, tutti i dubbi circa l’infinitudine del Cosmo venivano relegati lontano dalla Terra, così da non avere alcuna influenza su di essa, né dunque sui suoi abitanti. Quanto all’età dell’universo, e alla sua estensione nel tempo infinita o meno, grazie alla visione della “ciclicità” di tutte le cose, grazie alla credenza nella “reincarnazione” si propendeva per credere che l’universo era sempre esistito e sempre sarebbe esistito.

Thomas Digges (1546-1595), oltre che ad essere sostenitore delle tesi copernicane, fu uno dei primi a proporre che l’universo potesse anche essere infinito.

 

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Secondo Digges, oltre l’ultima sfera, quella di Saturno, si trovava una vasta regione vuota, per giungere poi alla distesa infinita costellata di stelle.

 

Anche Giordano Bruno perorò la tesi per cui l’universo fosse infinito, e per tale ragione morì arso sul rogo per eresia. Anch’egli fu sostenitore dell’eliocentrismo copernicano, anche perché, ammettendo che l’universo fosse infinito, come avrebbe potuto esso avere un centro (oltre che dei margini)?

Perciò, non mancò di farsi beffe della teoria di Aristotele, il quale appunto credeva che l’universo fosse finito.

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Universo aristotelico

 

Insomma, la risposta definitiva in merito ai limiti spazio-temporali dell’universo non fu di fatto trovata. Nella seconda parte scopriremo se alle soglie della modernità si sia giunti ad una svolta decisiva…

L’INFINITO IN FISICA

“C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri: Non parlo del Male, il cui limitato impero è L’Etica: parlo dell’Infinito”.

J. L Borges

Come abbiamo visto, Cantor e i suoi predecessori hanno in qualche modo aperto la strada dell’infinito, o meglio degli infiniti matematici, offrendocene una descrizione chiara; al giorno d’oggi, trattare gli infiniti attuali non costituisce più un’operazione problematica in matematica.

Volendo invece considerare l’infinito da un punto di vista fisico, la questione si fa più complessa. L’infinito matematico, in fin dei conti, non va a ricercare un’applicazione nella realtà, mentre l’infinito fisico può avere delle importanti conseguenze sull’universo; dall’altro canto quindi, è anche molto più spettacolare ed affascinante. Ecco cosa scriveva Cantor:

“L’infinito attuale si presenta in tre contesti: primo, quando viene realizzato nella forma più completa in un essere ultraterreno pienamente indipendente, in Deo, nel secondo caso lo chiamo infinito assoluto, o semplicemente assoluto; secondo, quando si manifesta nel mondo contingente, creato; terzo, quando la mente lo afferra in abstracto nella forma di una grandezza matematica, di un numero o di un tipo di ordine. Voglio distinguere nettamente tra l’assoluto e ciò che chiamo il transfinito, cioè gli infiniti attuali degli ultimi tipi, che sono chiaramente limitati, soggetti a ulteriore incremento, e quindi correlati con il finito”.

Dunque Cantor distingueva tre tipi di infinito: l’infinito assoluto (che coincideva con Dio), gli infiniti matematici (ossia i numeri transfiniti) e quelli fisici (costituiti dagli infiniti presenti nell’universo fisico). Per quanto riguarda quest’ultima categoria però, bisogna precisare che Cantor era dell’opinione che l’universo fosse finito, per età ed estensione, opinione assolutamente inusuale ai suoi tempi.

Tutte le leggi fisiche esistenti fino al XX secolo prevedevano l’esistenza di uno
spazio tridimensionale in cui il tempo scorreva “indisturbato“, cioè senza che mai esso fosse influenzato da qualsiasi tipo di fenomeno; così anche per lo spazio.

 

“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”.

Albert Einstein

einstein2.jpgSuccessivamente Einstein, con le sue geniali intuizioni, riuscì a trovare un nesso tra spazio e tempo, assieme alla forza di gravità. Così, la geometria dello spazio e il ritmo con cui fluisce il tempo secondo la concezione newtoniana furono drasticamente rivoluzionate. Lo spazio e il tempo non erano più fattori non condizionabili. Quando i corpi sono collocati nello spazio di Einstein, la loro massa e il loro moto plasmano la conformazione spaziale e il ritmo con cui il tempo scorre in luoghi diversi.

 

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L’universo di Einstein

 

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Possiamo immaginare l’universo di Einstein come una coperta estremamente elastica.

Così, dove non vi è massa, lo spazio è quasi del tutto piatto, corrisponde ossia alla descrizione newtoniana. Al contrario, quando grandi quantità di massa si trovano in una non troppo estesa regione spaziale i corpi si muovono a velocità prossime a quella della luce, e lo spazio e il tempo si deformano. Per cui, se qualsiasi grandezza fisica dovesse raggiungere un valore infinito, potrebbero esservi delle significative ripercussioni, a partire dalla curvatura dello spazio, che diverrebbe appunto infinita: lo spazio verrebbe così lacerato. Questo tipo di situazione estrema è detta “singolarità“.

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Rappresentazione di uno spazio curvo che evolve in una singolarità.

 

Dunque, potrebbe esistere una singolarità nell’universo? E, più in generale, è possibile osservare un infinito fisico? A questi interrogativi stanno tentando di rispondere studiosi come cosmologi, ingegneri e fisici delle particelle. Interessiamoci ora delle ricerche di questi ultimi.

I fisici delle particelle, che studiano i costituenti della materia e le interazioni fondamentali tra questi, si occupano appunto dell’infinitamente piccolo, analizzando particelle prodotte da acceleratori all’avanguardia. Ci troviamo all’opposto dell’infinitamente grande, ma, come ha affermato Guido Tonelli, “gli estremi si toccano”: infatti i fisici delle particelle, studiano particelle in condizioni estreme, che sono molto vicine a quelle proprie dell’universo primordiale, ed ecco il punto di contatto tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

Ad ogni modo, per lungo tempo i fisici si sono imbattuti in quantità infinite in calcoli di semplici grandezze fisiche, cosicché ci si prodigò al fine di superare questa difficoltà. Alla fine, la questione non fu chiusa, ma piuttosto elusa; si elaborò un metodo per scomporre il risultato in una parte finita ed una infinita, cosicché la parte finita potesse essere confrontata con altre osservazioni, mentre quella infinita semplicemente essere “messa in un canto” (potrebbe essere un po’ simile a come vengono considerate le incognite: non si conosce una certa quantità, che viene chiamata per esempio x, e poi, ad esempio, tranquillamente si potranno effettuare calcoli come 4x-1x=3x). Questo procedimento è detto “rinormalizzazione” (esso, fra le altre cose, costituisce una conferma del bosone di Higgs).  La “comparsa” degli infiniti indusse però a pensare che il sistema attraverso il quale si vedeva la realtà fosse inadeguato, come può esserlo guardare un cielo stellato attraverso una lente di ingrandimento, anziché adoperare un telescopio. Ad esempio, la cosiddetta “teoria delle stringhe“, ancora in fase di sviluppo, potrebbe consentirci di evitare questi scomodi infiniti mutando la concezione della natura dei mattoni elementari che costituiscono l’universo. Anziché considerarli come “punti”, essi possono essere visti come degli anelli di energia, i quali, muovendosi, descrivono tubi nello spazio (e non linee come sarebbe per i punti). Queste corde, o stringhe, sono tese, proprio come un elastico, e si allentano via via che la temperatura sale; al contrario, se la temperatura diminuisce, gli anelli delle spire sono sempre più tesi, e quindi simili a punti: si tratta di un “ampliamento” della teoria puntiforme, poiché questo modello può andar bene in condizioni di basse temperature, ma non è appropriato in casi di alte temperature.

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Nel primo caso, vediamo come due punti in movimento vadano a costituire delle linee; la loro interazione genera un punto che seguirà il loro moto nello spazio e nel tempo, ed è questo indice del fatto che un infinito si “paleserà” prima o poi nel calcolo di questa interazione. Nel secondo caso invece, l’intersecarsi dei due “tubi”, non potrà generare altro che una transizione continua a due altri tubi, e questa è garanzia del fatto che non si potrà incorrere in alcun infinito.

 

In ogni caso, i fisici sono piuttosto fiduciosi: si spera che questa teoria possa costituire una “teoria del tutto“. Essi sono invece propendono molto meno per credere che gli infiniti fisici esistano.