Leopardi: il poeta dell’infinito

Busto di Leopardi, nella biblioteca della casa natale.

“L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia […], l’infinito è un’idea, un sogno, non una realtà”.

Così afferma Giacomo Leopardi in un passo dello Zibaldone. La tematica dell’infinito è fortemente sentita dagli artisti romantici dell’Ottocento, tra cui spicca il poeta recanatese (benché egli non accettò fino in fondo tutti gli aspetti di questa corrente culturale). Al poeta è molto cara la tensione dell’uomo proteso verso l’infinito. Al centro della propria meditazione vi è il motivo del pessimismo, inerente all’infelicità dell’uomo. Le cause di tale infelicità sono esposte in alcune pagine dello Zibaldone. Secondo il Leopardi infatti, la felicità coincide con piaceri materiali, sensibili, non astratti. Non desiderando però l’uomo un piacere ben determinato, particolare, e aspirando invece al piacere, inteso come piacere infinito per durata ed estensione, si è destinati a restare insoddisfatti. Infatti nessun piacere sperimentabile nel mondo può soddisfare una simile esigenza. Per cui tale insoddisfazione è destinata a sfociare nell’infelicità, la quale conduce alla visione della nullità di tutte le cose.

“Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempirci l’animo, e la tendenza verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti: né per durata, né per estensione.[…] Quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione del suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal piacere; ora nel fatto trovando un piacere particolare, e non astratto, ne segue che il suo desiderio non essendo soddisfatto di gran lunga, il piacere è appena piacere. E perciò tutti i piaceri devono essere misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè un’infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato”.

(“Zibaldone”, 165-167)

 

L’infelicità diviene, nell’universo leopardiano, una vera e propria necessità, ossia qualcosa di inevitabile. Unico rimedio a disposizione dell’uomo risiede nella sua mente: si tratta di pura immaginazione e di illusioni. Tale è il modo di evadere da Immagine correlatauna realtà insopportabile. L’opportunità di immergersi in un “illusorio” vagheggiamento di infinito e di provare dunque un altrettanto illusorio appagamento al desiderio del piacere infinito è offerta da ogni cosa che sia vaga, lontana, indefinita. Vediamo come anche nella concezione leopardiana l’indefinito,

Screenshot_2020-10-18-14-41-44-330_com.mi.globalbrowser

Una scena dal film “Il giovane favoloso” (2014)

ápeiron si coniughi alla perfezione con il concetto di infinito. Sono oggetti concreti ritrovabili nel mondo tangibile, che si caratterizzano per una particolare suggestività, creano un’“impressione”, sono evocativi. Spesso, per suscitare “idee infinite”, spiega Leopardi, è sufficiente osservare alcuni oggetti in una prospettiva privilegiata, particolare, che permetta di vederli solo per metà, o “con certi impedimenti”. Ecco che la vista di una siepe può risultare particolarmente piacevole, perché in quel caso, tutto ciò che, a causa dell’ostacolo, è precluso alla vista, senso obiettivo e razionale per eccellenza, viene compensato da un fervido lavorìo dell’immaginazione:

“Perché allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale”.

In parallelo, il poeta elabora una concezione ideale del suono, anche. Un canto lontano, evocativo, che giunga quasi come un sussurro, un’eco, che sfumi sino a divenire quasi impercettibile, ma che in realtà non diventi mai muto (ciò ricorda molto il concetto matematico di “tendente ad infinito”).

“È piacevole per se stesso, cioè non per altro, se non per un’idea vaga ed indefinita che desta, un canto (il più spregevole) udito da lungi o che paia lontano senza esserlo, o che si vada appoco appoco allontanando, e divenendo insensibile o anche viceversa (ma meno) o che sia così lontano, in apparenza o in verità, che l’orecchio e l’idea quasi lo perda nella vastità degli spazi”.

(“Zibaldone”)

 

Sicuramente anche i componimenti leopardiani, e in particolare la lirica “L’Infinito”, risuonano di tali “canti” remoti, efficacemente riprodotti.

Cercate altre citazioni dal poeta recanatese? Qui ne potrete trovare una selezione.

Follow Ápeiron on Instagram:

Lascia un commento