To see a World in a Grain of Sand
And a Heaven in a Wild Flower,
Hold Infinity in the palm of your hand
And Eternity in an hour.William Blake
Ci accingiamo ora ad esplorare un nuovo modo di vedere l’infinito, secondo la concezione dello scrittore Jorge Luis Borges, scrittore, poeta e accademico argentino. Le sue opere vengono associate al genere fantasy, o anche al “realismo magico”, di cui appunto lo scrittore è considerato l’iniziatore. Proponiamo una presentazione de Il libro di sabbia, raccolta di racconti di Borges, per addentrarci nella concezione di infinito propria di Borges.
“Non solo vendo Bibbie, posso mostrarti un libro sacro. Forse ti interessa, l’ho acquisito nei confini di Bikanir”.
Jorge Luis Borges
IL LIBRO DI SABBIA
Prima di Jorge L. Borges, molti tra filosofi, matematici e scrittori avevano cercato di
decifrare l’essenza ultima dell’infinito. Ne Il libro di sabbia, lo scrittore argentino fornì una propria visione di questo concetto, a dir poco visionaria.
Nella breve storia che porta lo stesso nome del libro, il protagonista, Borges stesso, è visitato da un venditore di Bibbie, il quale gli offre un libro particolare: “Non solo vendo Bibbie, posso mostrarti un libro sacro. Forse ti interessa, l’ho acquisito nei confini di Bikanir”. Ma del resto Borges è un professore di letteratura inglese, in possesso di un gran numero di libri, abituato a vedere volumi di ogni tipo; cosa potrebbe mostrargli il venditore che lo lasci sorpreso? Cosa potrebbe avere di interessante un libro, sulla cui copertina era scritto un anonimo “Sacra Scrittura-Bombay”?
Ebbene, Borges decide di aprire il libro, ad una pagina qualunque: le pagine son consumate, il testo incomprensibile a causa di una tipografia scadente. Eppure…
“Mi ha colpito il fatto che la pagina pari avesse il numero (diciamo) 40514 e, quello che è strano, la successiva, 999”.
Immaginiamo che accada anche a noi: estraiamo un qualsiasi libro dagli scaffali di una biblioteca, e scopriamo una numerazione del tutto arbitraria e disordinata: la reazione di chiunque non può che essere di smarrimento e sbigottimento.
Ma non è finita, perché il venditore avverte Borges di fare attenzione: ogni pagina si può vedere una sola volta, dopodiché essa svanisce:
“Fu a questo punto che lo straniero mi disse: «Guarda attentamente l’illustrazione, non la vedrai mai più».
Il fatto che ogni pagina, una volta voltata, non sarà più ritrovabile, corrisponde alla proprietà degli infiniti non numerabili di Cantor, per cui infiniti altri numeri possono essere frapposti tra due numeri con infiniti decimali. Inoltre, il tema dell’irripetibilità è molto caro a Borges, e la metafora della spiaggia è particolarmente efficace: immaginiamo di andare in spiaggia, di prendere una manciata di sabbia, quindi di lasciarla cadere, conservando un unico granello sul palmo della nostra mano: guardiamo questa sabbia cadere attentamente, perché mai più la rivedremo.
Ma le stranezze sono destinate a non finire: il libro è così misterioso che manca di una prima pagina, o meglio, il numero 1 sulla prima pagina è stato stampato, tuttavia, inesplicabilmente, sempre più pagine vanno a distanziare la copertina del libro dalla prima pagina, cosicché risulta impossibile pervenire “a destinazione”, ossia alla pagina numero 1 (il fenomeno ricorda molto il paradosso zenoniano di Achille e della tartaruga, o anche il concetto di “insieme denso”).
“Mi ha chiesto di cercare la prima pagina. Ho messo la mano sinistra sul coperchio e l’ho aperta con il pollice quasi a toccare l’indice. Tutto era inutile: diversi fogli erano sempre interposti tra la copertina e la mano. Era come se uscissero dal libro”.
Altrettanto frustrante si rivela cercare l’ultima pagina del libro, come può essere sconcertante trovare il primo e l’ultimo granello di sabbia in spiaggia.
“«Ora cerca la fine». Ho anche fallito; sono riuscito a malapena a parlare con una voce che non era mia: «Questo non può essere…»”
La conclusione del venditore, che comprende perfettamente la ragione dello sbigottimento di Borges, è volutamente sibillina e inquietante.
“Se lo spazio è infinito, siamo in qualsiasi punto dello spazio. Se il tempo è infinito, siamo in qualsiasi momento”.
L’INFINITO PER BORGES:
L’infinito, nella concezione di Borges, differisce, sotto alcuni aspetti, da quello che è l’infinito matematico, ineccepibilmente strutturato: basti pensare alla successione senza
fine dei naturali: 1,2,3,4,5,6,… Anche Borges si serve di numeri per esprimere il “suo” infinito, ma, come abbiamo visto, non esiste una pagina numero 1. Inoltre, aspetto ancora più importante, la numerazione delle pagine non segue una successione ordinata (che progredisse secondo il criterio di n+1, o simili, per esprimersi nel linguaggio della matematica). Egli ha aperto il libro alla pagina 40514, e la pagina successiva recava il numero 999, ma avrebbe potuto recare benissimo, ad esempio, il numero 6593.
L’infinito che Borges concepisce è assai distante dalla nostra concezione mentale, è un infinito che si sottrae a qualsiasi criterio che lo disciplini. L’infinito è irraggiungibile, ma anche inconcepibile in qualsiasi sua parte. La semplice, caotica numerazione di un libro come la Sacra Scrittura può innalzare vertiginosamente all’infinito.
L’infinito, nell’ottica di Borges, è un labirinto, è il regno del caos, oppure, che è lo stesso, l’infinito è la fonte di ogni possibile finitudine.
BORGES E CANTOR:
Borges possedeva una straordinaria inclinazione letteraria, tuttavia egli era pervaso da
un profondo interesse per la matematica, anche; e ciò traspare diffusamente all’interno delle sue opere. A ben riflettere, Il libro di sabbia richiama molto l’idea del continuo matematico. E infatti, ulteriore esempio dell’esistenza di numerosi punti di contatto tra l’opera di Borges e la matematica, è la raccolta di diciassette racconti intitolata L’Aleph (primo numero transfinito secondo la denominazione di Georg Cantor). L’omonimo racconto posto a conclusione dalla raccolta è incentrato sull’incontro tra il protagonista, ancora una volta lo stesso Borges, e Carlos A. Daneri, poeta mediocre e borioso, che un giorno scopre di dover lasciare la sua abitazione, che verrà adibita ad un’attività commerciale. La notizia sconvolge il poeta, il quale, andandosene, è costretto a perdere letteralmente tutto: sì, Daneri rischia di dover lasciare in quella casa l’Aleph, un angolo nascosto nella sua cantina in cui si trovano “tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”. Così, in preda all’angoscia, egli decide di rivolgersi a Borges; questi lo asseconda soltanto poiché convinto che il poeta sia solo “un povero pazzo”. Borges esegue quanto il poeta gli indica per pervenire all’Aleph:
“«Ti sdrai sul pavimento di mattonelle e fissi lo sguardo sul diciannovesimo gradino della scala. […] Dopo pochi minuti vedrai l’Aleph. Il microcosmo di alchimisti e cabalisti, il nostro concreto amico del proverbio ‘multum in parvo’ [alla lettera “molto è contenuto nel piccolo”]!»”.
Presto, quando Borges si ritrova solo, è preso dallo sgomento:
“Carlos, per difendere il suo delirio, per non sapere che era pazzo, doveva uccidermi. Sentii un confuso malessere, che volli attribuire alla rigidità, e non all’effetto d’un narcotico. Chiusi gli occhi, li riaprii. Allora vidi l’Aleph”.
Se si desidera, è possibile leggere un estratto del racconto, in cui l’autore narra la sua esperienza visionaria.
Lo scrittore argentino ci riferisce di una visione quasi onirica: egli, osservando da una determinata prospettiva, può vedere tutto ciò che si trova nell’universo, meglio ancora, riesce ad avere uno sguardo sull’intero universo! Si tratta quasi di una rivelazione, che naturalmente lo turba e lo sconvolge. Egli, con il passare del tempo, dimenticherà questa visione, forse nel timore di non essere più in grado di godere della vita nella sua pienezza, poiché la visione dell’universo nella sua totalità è un esperienza troppo vertiginosa, troppo spossante, da essere portata con sé per il resto della vita.
È vero, l’esperienza che l’autore ci riferisce è in grado di comunicare un senso di totalità e completezza, tale da sembrare esaurire tutto quanto sia possibile dire sull’infinito di Borges… Eppure il titolo stesso fa riferimento soltanto alla prima lettera dell’alfabeto ebraico, lettera che è emblema della totalità di Dio congiunta a quella dell’universo. Non è che l’inizio…
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