Pagine d’autore: Isaiah Berlin & il Romanticismo

Il Romanticismo fu una temperie culturale estremamente variegata quanto a tematiche privilegiate, orientamenti culturali, politici, e così via. Un movimento dai mille volti cangianti, insomma, variabili perfino di area geografica in area geografica.

Non poco arduo, dunque, se non ai limiti del possibile, sarebbe fornire una definizione di Romanticismo, coerente e concisa. Eppure, in questo caso viene in nostro soccorso Isaiah Berlin, il quale individua un fondamentale ed imprescindibile denominatore comune: l’infinito. Vediamo come.

LA PAGINA D’AUTORE, TRATTA DA “LE RADICI DEL ROMANTICISMO”

Sir Isaiah Berlin (Riga, 1909 – Oxford, 1997) è stato un filosofo, politologo e diplomatico britannico, noto teorico del Liberalismo. Nel saggio che proponiamo il pensatore sostiene la tesi fondamentale che il Romanticismo costituisca la più grande rivoluzione cognitiva dell’Occidente moderno. In un passo, in particolare, questo è quanto egli sostiene:

Naturalmente, se penso di poter diventare davvero un nobile selvaggio, se penso di potere davvero trasformarmi in un semplice indigeno di un qualche paese non civilizzato, che vive una vita molto primitiva, la magia si dissolve. Ma nessuno dei romantici lo pensava. L’essenza della visione romantica del nobile selvaggio sta nell’irraggiungibilità della meta. Se fosse stata raggiungibile, la figura del nobile selvaggio sarebbe stata inutile, perché sarebbe diventata un qualcosa di orribilmente dato, una spaventevole regola di vita, non meno vincolante, disciplinante e detestabile di quella che sostituiva. Il nocciolo della faccenda è dunque ciò, che è impossibile trovare l’inattingibile, l’infinito.

Isaiah Berlin, “Le radici del Romanticismo”

Con il consueto tono brillante e con l’usuale disinvoltura, Berlin individua con estrema precisione quale sia il denominatore comune di una serie di inclinazioni, assolutamente contraddittorie talvolta, proprie degli intellettuali, letterati, artisti romantici. Il tutto con estrema sintesi.

Il segreto ultimo dell’elemento fantasioso, fiabesco, fin bizzarro di alcune manifestazioni romantiche – siano esse di tipo speculativo, letterario, o artistico -, così come di quel desiderio ardente di ritorno al primitivo, al naturale, ecco, la magia di tutto questo sta nell’ “irraggiungibilità” di un simile traguardo. La possibilità di plasmare, ciascuno secondo la propria indole, il proprio destino, la libertà di dare luogo, attraverso una facoltà immaginifica inesausta, ad infinite possibilità: nulla di precostituito, dunque, giacché tutto ciò che è finito è, in un certo senso, come avrebbe sostenuto Fichte, “morto”, ovvero privo di vitalità e “libertà espressiva”. L’essenza umana consiste precipuamente nella libertà di esprimere se stessi.

Il Romanticismo, in ultima analisi, si nutre di tutto ciò che è inarrivabile, irraggiungibile. Il Romanticismo nulla sarebbe senza l’infinito.

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