Quando la materia trascende la sua finitezza: l’infinito in Architettura

Saliamo lungo una scalinata, entriamo nella sala di un museo, in un edificio; nulla di ciò che li compone sembra sfuggire ai nostri occhi: occupano uno spazio ben definibile, sono spesso di estese dimensioni. Sono concreti. Certo, possono essere luoghi gradevoli, funzionali, perfino impreziositi dall’arte, ma non è possibile che possano alludere all’infinito. Oppure sì?

La scalinata dei Musei Vaticani (Roma)

Proprio all’ingresso dei Musei Vaticani, ad accoglierci c’è una scala elicoidale. La sua progettazione fu a cura di Giuseppe Momo (1875-1940), per commissione di papa Pio XI. In effetti il suo incarico prevedeva un rinnovamento architettonico dell’intera Città del Vaticano: suoi sono il Palazzo delle Congregazioni, la sede della Pontificia Università Lateranense, il Cancello di Sant’Anna, per citare alcuni dei suoi progetti.

La scala fu inaugurata il 7 dicembre 1932. Essendo a doppia rampa, il flusso dei visitatori in entrata è destinato a non incontrarsi con quello dei visitatori in uscita. Una soluzione particolarmente funzionale, ma che allo stesso tempo contribuisce a dare l’impressione, nel percorrerla, di stare attraversando il dipanarsi di un unica linea, che si snoda sinuosa e si avvolge attorno a se stessa, quasi una sorta di continuum (forse vi ricorda il simbolo dell’infinito?). La scala elicoidale fu talmente ammirata da costituire fonte di ispirazione per altri progetti, come quello del Museo Guggenheim a New York, mostrato in foto.

Le scalinate del palazzo del Quirinale e di Palazzo Barberini (Roma)

Simili, vero? In effetti fu Ottaviano Mascarino (1536-1606) il primo a concepire, al finire del Cinquecento, una costruzione di impareggiabile slancio, grazia, eppure così imponente e maestosa. Essa doveva costituire il nucleo centrale del palazzo del Quirinale. Al tempo, si trattava di una villa ad uso del pontefice, particolarmente congeniale durante i mesi estivi, per la frescura da cui si poteva godere rispetto al Vaticano. Ebbene, la scala, anch’essa elicoidale, conduceva proprio ai piani superiori della villa. A sostenere la rampa sono coppie di colonne in travertino, che peraltro contribuiscono a dare un’impressione di slancio in senso verticale, di un costante protendersi verso il suo culmine. Da notare anche i suggestivi effetti chiaroscurali creati dalla luce naturale, che dall’alto del pozzo centrale si insinua nella gradinata, creando una penombra.

Il Borromini prese dunque spunto dalla scala del Moscarini per la progettazione della scala del Palazzo Barberini.

Musée de l’Orangerie (Parigi)

L’infinito può essere variamente declinato, e non solo in modo da crearne un’immediata impressione nel visitatore. È il caso del Musée de l’Orangerie, a Parigi, soprannominato la “casa delle Ninfee” di Monet. Osservando la seconda immagine, che rappresenta la pianta in scala dell’edificio, risulta particolarmente chiaro che due sale di forma elicoidale si accostino a formare proprio il simbolo dell’infinito. Ma non si tratta dell’unica particolarità del museo. Entrando nelle due sale, lo si vede chiaramente dalle immagini n.3 e 4, le tele assecondano l’andamento curvilineo delle pareti, ed ecco che l’architettura coopera con l’arte per restituire un senso di distesa ampiezza, di dilatata apertura, che assume le tinte vaghe e affascinanti delle ninfee ai limiti dell’astrazione.

Le installazioni di James Turrel

My work has no object, no image and no focus. With no object, no image and focus, what are you looking at? What is important to me is to create an experience of wordless thought.

La mia opera non si concentra su un soggetto, un’immagine, un preciso oggetto d’interesse. Senza un soggetto, un’immagine, un oggetto d’interesse, cosa stai osservando? Quello che conta per me è dare luogo a un’esperienza di pensiero inesprimibile.

James Turrell

James Turrell (nato nel 1943) è più propriamente un artista, tuttavia le sue opere riservano una particolare attenzione proprio alla percezione della luce e dello spazio (potete approfondire sul suo sito ufficiale).

The roden crater (immagini n. 1 e 2) non è altro che il cratere di un vulcano non più attivo, situato nel nord Arizona, che l’artista ha reso protagonista di un’opera di Land Art. Esso diventa così un osservatorio naturale di luce (e quindi di fenomeni celesti, come il solstizio d’estate e d’inverno) tramite un’apertura circolare sulla sommità.

Qualcosa di simile avviene anche in Skyspace, un’istallazione propriamente definita ”architectural design”: una stanza dipinta con colori neutrali posta a diretto contatto con il cielo attraverso un’apertura sul soffitto. Un cielo incorniciato, insomma, che può essere persino variato tramite i giochi di luce introdotti dai LED. A partire dal 2013 sono state realizzate oltre 82 istallazioni Skyspace. Si potrebbe riassumere definendo quest’innovativa opera come una tela infinita, quella del cielo, in una cornice architettonica.

Attraverso questi esempi, che non sono certamente gli unici, abbiamo dunque fatto esperienza di una forma di architettura strettamente confinante con l’espressione artistica; quando l’architettura trascende se stessa, i propri limiti intrinseci, dovuti ad un necessario dipendere dalla materia, ecco lo sprigionarsi di scenari nuovi, spesso suggerimento dell’illimitato.

Follow Ápeiron on Instagram: